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Diritto del lavoro

Decreto lavoro… e meno male che sono tecnici

Dovremmo essere oramai abituati ad una tecnica legislativa sempre più sciatta e trasandata in materia lavoristica. Ma forse non lo saremo mai abbastanza.

Alcune leggi in passato potevano anche essere di cattiva fattura, però l’intenzione al fondo era (quasi sempre) buona.

Con il decreto lavoro, invece, è tutto sbagliato.

Sbagliato è inglobare uno slogan. Portare un intervento in materia lavoristica al Consiglio dei ministri il 1° maggio solamente perché è la Festa dei Lavoratori, non indora la pillola, semmai la fa mal digerire.

Va detto chiaramente: il decreto lavoro non solo apre alla precarizzazione, ma ci fa tornare indietro di 20 anni.

Apre alla precarizzazione perché, d’ora in poi nel caso in cui le parti vogliano stipulare un contratto di durata superiore ai 12 mesi (fino ad un anno il datore di lavoro non è tenuto a giustificare l’assunzione a tempo determinato), sarà consentita l’apposizione del termine (il limite massimo rimane 24 mesi) a fronte di “esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva”, mentre fino a questo momento era possibile solamente nel caso di “a)  esigenze  temporanee  e  oggettive,  estranee   all’ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori; b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria”.

La genericità della “nuova” fattispecie lascerà all’immaginazione del datore di lavoro il potere di individuare le ragioni che lo porteranno ad assumere a tempo determinato, quando “il  contratto  di  lavoro  subordinato  a  tempo  indeterminato costituisce [almeno così dovrebbe essere] la forma comune di rapporto di lavoro” (art. 1, d.lgs. n. 81/2015).

“Nuova” fattispecie poi si fa per dire. Perché il primo intervento normativo in materia di contratto a tempo determinato prescriveva esattamente che era “consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”. E lo prescriveva nel 2001, all’art. 1, d.lgs. n. 368.

Certo, questo libero arbitrio del datore di lavoro dovrebbe avere carattere residuale, operando solamente nel caso in cui il contratto collettivo applicato non preveda specifiche causali. Ma (se ho ben compreso) l’adeguamento da parte della contrattazione avrà i minuti contati. Perché i sindacati dovranno individuare le causali entro il 30 aprile 2024, altrimenti rimarranno le  “esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva”.

Ma la contrattazione collettiva già regolamenta questo segmento di mercato. Gli unici rapporti di lavoro a tempo determinato considerati genuini da parte dei sindacati sono le attività stagionali. E queste chiaramente non sono presenti in tutti i contratti collettivi.

Quindi chi garantisce l’adeguamento da parte dei contratti collettivi? Praticamente nessuno.

E meno male che sono tecnici.

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