Nel Regno Unito, in cui sembrerebbe essere stata raggiunta l’immunità di gregge, si sente parlare da un po’ di settimane di «no jab, no job», tradotto «nessuna puntura, nessun lavoro», una clausola contrattuale inserita dai datori di lavoro inglese volta a subordinare le nuove assunzioni al certificato di vaccinazione del lavoratore.
L’Italia è ovviamente molto lontana dal raggiungere l’immunità di gregge, ma quasi sicuramente – come è già avvenuto per l’obbligo di vaccinazione ed il rifiuto del lavoratore – si porrà il tema del «no jab, no job».
Come è noto, l’articolo 4 del Decreto Legge n. 44/2021 ha introdotto l’obbligo di vaccinazione, ma solo per gli operatori sanitari.
Il problema del «no jab, no job» ovviamente non si porrà per il settore sanitario, dato che il vaccino costituisce un condizione per l’esercizio dell’attività lavorativa, ma si porrà, semmai, in tutti gli altri settori, posto che vige in quei settori l’ineludibile riserva di legge di cui all’art. 32 della Costituzione.
Quali tutele dunque per il lavoratore, la cui assunzione è subordinata al vaccino?
La tutela antidiscriminatoria.
Il decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216 reca infatti disposizioni relative all’attuazione della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalle “convinzioni personali”, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro, disponendo le misure necessarie affinché tali fattori non siano causa di discriminazione.
Il lavoratore avrà il diritto al risarcimento del danno (anche non patrimoniale) ed alla rimozione della condotta discriminatoria, ma nessuno potrà imporre al datore di lavoro di assumere qualcuno contro la propria volontà, nemmeno un giudice.
Purtroppo gli strumenti a disposizione risultano essere ancora insufficienti, a fronte delle problematiche che verranno a porsi.